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“Franco Giletta è un giovane maestro contemporaneo che dipinge come gli antichi”
Vittorio Sgarbi
“Vi è una sorta di vocazione alla trasparenza nella pittura di Franco Giletta. La sua ricerca di un senso definito e polito, del disegno, del colore, nella semplificazione stessa del racconto, lo induce a “levigare” le possibilità di una sfida con la grande tradizione pittorica italiana. Il suo sguardo pare essere attento a un passato tutto da rivivificare nel presente: su ottimo terreno, dunque, egli si è accinto a seminare le speranze della propria arte. Dopo un viaggio formativo a New York, Franco Giletta ha cominciato ad ambientare la finezza del suo disegnare e la classicità del suo sentimento in sorprendenti città telematiche che, però, non sembrano trasmettere l’immagine del video o del televisivo, bensì una sorta di intuizione dello spirito nell’atto della meditazione che i suoi stiliti continuano a compiere, in una posizione sempre fuori del mondo pur se nel mondo compiuta”.
Arnaldo Romani Brizzi
Gente che è fuggita, questo è sicuro, sono i tre evasi di Franco Giletta. Alle loro spalle sta una città notturna, una fortificazione cieca, un assembramento di quinte colossali. Il ricordo è quello di un novecentismo illividito, tumefatto. Mura dechirichiane diventate schermi di emanazioni di figure incerte, un volto, un corpo, un occhio sovrastante tutto. Se le teste in primo piano, sottoposte a un simile assedio, sono quelle di evasi, mai evasione fallì più di questa. Qualsiasi prigione si siano lasciati dietro – forse proprio il cavo straniato di quella sorta di città littoria – adesso il loro luogo è quello di uno spaesamento assoluto. Nessuno li riconosce. In un certo senso possono stare tranquilli. Ma il loro tratto psicologico che te li fa ricordare è un’innappartenenza di fondo. Come una malinconia non comunicabile. Passavano e guardavano un po’ così anche gli angeli nella città di Wenders.
Marco Di Capua
TESTO CRITICO
Vittorio Sgarbi